La Tempesta

Giovedì 17 marzo 2022

La tempesta

Regia di Alessandro Serra


Dopo aver visto uno spettacolo come “Macbettu” è normale avere delle aspettative.

Se poi sai che uno spettacolo non viene preparato in un mese di prove, come la maggior parte degli spettacoli in Italia, ma vedi gli attori iniziare ad incontrarsi a giugno per andare in scena a marzo, le aspettative aumentano.

Proprio per questo inizi prefigurarti una delusione, sai che rimmarrai deluso e ti rattristi, ma ti rattristi con la speranza nel cuore di essere sorpreso.

Con quella speranza prenoterai il biglietto, prenderai il pullman per le Fonderie e ti sederai in sala.

Si spengono le luci e sembra di nuovo Macbettu: un frastuono assordante nel buio fa tremare la sala, una luce bianca illumina una spirale di fumo, poi all’improvviso un telo si alza da terra e vola in aria scoprendo una ragazza sdraiata a terra su un pavimento di tavole chiare. Siamo sott’acqua, il gioco delle luci unito al movimento del telo è meraviglioso, sembra quasi di dover trattenere il respiro. È impossibile staccare lo sguardo dal telo a mezz’aria, tanto che non ci si è accorti nemmeno che la ragazza intanto si è alzata e ha iniziato una coreografia, ma si vede subito che sono movimenti fissati, indifferenti a me e al gioco di ombre in cui avvengono, così ritorno al telo, imprevedibile e magico. Le voci registrate mi ricordano che sto guardando “la tempesta” e, seguendo nella mia mente il copione, prendo consapevolezza del fatto che prima o poi quel telo sparirà e questo momento sarà passato. La ragazza si ferma, il frastuono si placa e il telo svanisce.

Questo inizio sfavillante mi rincuora momentaneamente, ma la coreografia che ho visto mi preoccupa, è chiaramente un sintomo di qualcosa che rovinerà lo spettacolo, un fare artistico che non permette alle cose di accadere. C’era la chiara possibilità di fare teatro non facendolo, ma si è sbriciolata in un attimo, in vigore di un tempo, di una durata.

Il resto dello spettacolo darà spazio alla mia delusione più profonda. Si rivede in tutto e per tutto “la tempesta” di Strehler, nei costumi, nei toni degli attori, nella lettura dei personaggi e persino nelle posizioni e nei movimenti scenici. Ora che ci penso anche il pavimento di tavole ha la stessa tonalità chiara, quasi bianca.

Questo tributo, non necessario e a tratti terribilmente noioso, mette in evidenza una non padronanza della lingua da parte degli attori, che si trovano a declamare parole vuote, che non agiscono, che ogni attore affronta in modo diverso a seconda della propria esperienza e del proprio percorso accademico, risultando più o meno ridicolo.

Del grottesco che mi ha tanto fatto apprezzare Serra ci sono alcuni sprazzi buttati qua e là, disconnessi dal resto dello spettacolo, che lasciano intravedere cosa sarebbe potuto essere di questo spettacolo se solo ci si fosse dimenticati del copione. La forza narrativa di alcune immagini, magistralmente create dal regista, avrebbe permesso a questa storia di essere raccontata facendo a meno dell’uso della parola.

Il banchetto degli spiriti, il canto tribale di Caliban o il matrimonio tra Miranda e Ferdinando sono stati momenti di una qualità tale da rendere tutte le altre scene una noiosa attesa del ritorno della mano di Serra.

Della metateatralità intrinseca ne “la tempesta” il regista fa un accenno, forse non troppo chiaro ai più che non hanno avuto la possibilità di studiare a fondo il testo, ma comunque commuovente.

Manca invece il coraggio di affrontare l’epilogo di Prospero, momento delicatissimo e chiave del testo, utilizzato invece come anticamera per un finale lasciato alla figura di Ariel che si disperde nella luce, di grande effetto, ma che non trasmette quell’amore per la magia del teatro che dovrebbe trasparire da questo spettacolo.

Proprio per quest’ultima rinuncia, a rimanere con l’amaro in bocca dopo questa messinscena, non dovrebbe essere solo lo spettatore, ma anche il regista stesso che nel foglio di sala esprime la propria volontà di voler esaltare l’isola magica della tempesta come metafora del teatro, aspetto che, come già detto, emerge timidamente. Allora viene da domandarsi: cosa manca? O meglio, cosa è mancato?

Spesso mancano il tempo, le risorse o la libertà che permettono a un artista di portare a compimento un proprio progetto, ma non è questo il caso.

E a mancare non è nemmeno il talento degli attori o del regista.

Allora perché si ha la sensazione di trovarsi davanti a un qualcosa riuscito a metà?

Forse perché questo spettacolo si accontenta, non ha la fame di portare un messaggio, non ha quella voglia di conquistare lo spettatore attraverso il gusto, l’olfatto, la gola, l’udito pur di trascinarlo dentro una storia. E la cosa più triste è che abbiamo già visto Serra fare questo, per ciò ne avvertiamo la mancanza.


PIETRO MACCABEI