MUSEO TEATRALE
Alle 4:57 alla stazione di Assisi passa un trenino regionale diretto a Perugia da dove, alle 5:24, parte l’unico Frecciarossa transitante in Umbria, nonché unica possibilità di arrivare a Torino senza fare cambi.
Nel gelo di Gennaio, in compagnia di un mio conterraneo attendo invano il trenino per Perugia, che non arriverà mai.
Nell’esprimere il nostro disappunto verso le più alte sfere del creato, io e il mio compagno di sventure facciamo conoscenza e iniziamo una chiacchierata che andrà avanti per tutto l’itinerario alternativo proposto da Trenitalia, ovviamente pieno di cambi e di coincidenze impossibili, inclusivo di arrivo a destinazione con 4 ore di ritardo.
Una volta saputo che facevo l’attore mi disse: “Il mese prossimo vado a vedere uno spettacolo…”
“Cosa?”
“Lundini.”
“Lui è pazzesco.”
“Eh sì, poi io di teatro-teatro non me ne intendo, non ci vado, mi sento troppo ignorante, non capirei…”
“Io sono ignorante quanto te, tranquillo…”
“È che non c’è mai niente che mi incuriosisce…”
“Io ci vado solo perché entro gratis. Cosa ti piacerebbe vedere?”
“Proprio perché non ne so niente vorrei vedere qualcosa di molto classico, per esempio Shakespeare, Amleto, ma non le riscritture o quelle cose con i vestiti di adesso. La cosa più tradizionale che c’è, con i costumi… che poi erano tutti uomini, giusto? Ecco, sarei proprio curioso di vedere che effetto fa baciare una Giulietta con i baffi.”
A questa sua richiesta non sapevo proprio come rispondere.
Ormai siamo talmente abituati a vedere Otelli nazisti e Amleti vintage che a quanto pare nessuno in Italia si sta occupando seriamente di recuperare le origini storiche di una forma di teatro che ha gettato le fondamenta di tutta la tradizione teatrale occidentale. Un cast tutto al maschile con merletti e parrucche renderebbe il Riccardo III più bello e avvincente? Chi può dirlo, c’è di sicuro un fascino intorno alla cosa, un fascino storico, lo stesso che si prova davanti un affresco di Giotto: il racconto di un’epoca, da cui prendere quello che si può prendere. E al di là dell’interesse artistico che può generare la cosa, è importante che al pubblico venga offerta la possibilità assistere a uno spettacolo del genere per lo stesso principio per cui garantiamo a tutti l’ingresso a un Museo. Il teatro deve essere parte della formazione di un individuo altrimenti ce ne dimenticheremo. Il mio professore di italiano per spiegarci Goldoni ci fece vedere un vecchio video in cui Eugenio Allegri tirava fuori da un borsone di cuoio le varie maschere della commedia dell’arte e indossandole dava vita ai personaggi. La mia professoressa di letteratura inglese, invece, oltre a farci imparare a memoria la biografia di Shakespeare, ci disse che nella sua rivoluzione teatrale il grande Guglielmo Scuotilancia introdusse l’utilizzo della botola e l’ingresso in scena di personaggi con delle candele per far capire che era notte...un luminare per l’appunto.
Quando è che gli attori prenderanno in mano anche questo aspetto del loro mestiere? Quando è che qualcuno si occuperà veramente di fare il Museo? Perché quello detto per Shakespeare vale anche per i vari Molière, Goldoni, ecc..
Questa moda di estrapolare le varie storie dal contesto in cui avvenivano è nata nel 900’ con il teatro di regia e ancora oggi gode di molti, forse troppi seguaci… sarebbe bello vedere qualcosa di diverso, ma per fare Museo, per farlo che abbia un senso, servono grandi registi e ottimi attori, che a quanto pare però si dedicano ad altro, a qualcosa che non è innovazione, ma neanche museo, qualcosa che sa di vecchio e stantio, che allontana e mette pareti, sognando di assomigliare al più famigerato ma ormai morente cinema.
PIETRO MACCABEI