Il Fantasma di Argo
La gelosia è un sentimento così inconfessabile che fa sembrare manipolato anche un ragionamento che la riguarda. E’ stato Montesquieu a lanciare la sfida di redarre una storia della gelosia; per molto tempo è stata un protocollo fantasma che nessuno ha avuto il coraggio di diffondere. Questo vuoto ha lasciato strada libera a filosofi, politici e psicologi per scavarne la fossa. Un gran male se ne dice ancora, così oggi il geloso soffre una doppia pena. La solitudine e la sua gelosia. Guai a dare corda al suo male! Preferiamo continuare a sentimento nocivo e privato. Ma quali sono le ragioni di questa ghettizzazione? La gelosia ci parla, mostruosamente, le stesse parole che parla l’amore, senonché qualcosa ha cambiato del tutto il registro.
C’è un legame fatale che congiunge gelosia e amore. Entrambi sentimenti oculari. Gli antichi ritraevano la gelosia come una bestia dai cento occhi. Argo, il mostro che tutto vede è davvero il fantasma della gelosia; Era lo ha messo a guardia di Io, la ninfa desiderata da Zeus. La bestia della gelosia è quella in cui si imbatte Rinaldo nell’Orlando Furioso mentre insegue Angelica. Per Ariosto la malattia del geloso è curata dallo Sdegno, che insegna a disprezzare l’amata. Al geloso si dà in cambio la medicina del disamore, quando basterebbe risanare la sua curiosità. Povero Otello, se non avesse sbirciato le chat di Desdemona! Perché ci ostiniamo a non salvare il fiore del suo amore, piuttosto? Per capire la gelosia bisogna paragonarla ad un altro sentimento dello sguardo. Specchiarsi negli occhi di un geloso riporta ad una regione dell’anima più torbida. Una vicina di casa della vergogna: questo ci rimane oggi di un sentimento che non possiamo trattare se non da vittima di una congiura sociale. Noi gelosi abbiamo tanto paura della nostra pena, quanto della condiscendenza, della crudeltà dei benpensanti. Ci rimane un gesto eroico: ammettere la nostra gelosia prima che la gelosia ci silenzi. Per La Rouchefoucauld: «Ci si vergogna di confessare che si prova gelosia, ma ci si vanta di averne provata e di essere capaci di provarne».
FABRIZIO WALTER ARTERO