Il Faro

Ormai sono molte sere che mi addormento sfogliando un robusto volume intitolato “Fari. I guardiani del mare”. È una galleria fotografica. Presto il lettore ha la sensazione di trovarsi davanti una collezione di reperti dal passato: una raccolta di resti archeologici. Goffi parallelepipedi su coste atlantiche; sottili cilindri che svettano, come denti di leone, da quattro secoli. Ad un millennial, salta all'occhio una stranezza: un faro sopravvive come ville disabitate benché tirate a lucido da costosi restauri. Ormai ci dovrebbe essere chiaro che l'impiego di GPS ha decapitato l'istituzione del loro scopo. Oggi un faro non suggerisce più la rotta: piuttosto è proprio questo questo il suo “vintage”, che dovrebbe produrre la meraviglia a chi acquista il libro. Il fotografo quindi rispetta il suo lavoro, se riesce a riunire la calma con cui il faro poggia sulla costa e il sublime ricordo con cui svettava fra le onde minacciose. Senonché da tempo il faro è diventato una meta turistica. Cercate sul web: “Dormire nel faro, per un weekend lontano dallo stress”! Solo, su una scogliera isolata, e torreggiante sulla distesa del mare, è una delle forme occidentali di fuga dalla metropoli. Rimane tuttavia ancora stella polare; pochi, dalle tasche piene, possono permettersi di villeggiarvi. Il faro oggi è annoverato fra i luoghi dell'escapismo, l'utopia di evasione dalla realtà. Per questo, un libro che vuole raccontare realisticamente i fari, dovrebbe scegliere immagini dall'“interno” come quelle di una camera di hotel, di un talent show: scale vertiginose, a chiocciola, come quelle di Bresson; vetrate sull'orizzonte a perdita d'occhio; dettagli su antiche lampade a olio, e ringhiere ossidate.


FABRIZIO WALTER ARTERO