La Caverna e il teatro
Il teatro non è una caverna. O almeno non dovrebbe esserlo: né per attori, né per il pubblico. Per quanto trasandati e polverosi siano i teatrini di provincia, e gelidi i grandi palchi di città, sotto scacco del caro energia. Nei secoli la tecnologia ha paradossalmente rabbuiato piano piano i teatri. Principalmente le platee. Nella Grecia classica il dramma andava in scena dalla mattina al tramonto, alla luce del sole. Benché in contrasto con l'idea che ne abbiamo, anche l'oscuro Medioevo aveva rappresentazioni solari, aperte, festose. Man mano che candele e lampade a olio hanno fatto posto a impianti elettrici, i teatri sono diventati luoghi sempre più chiusi, muti e oscuri. Poter spegnere la luce in platea con un clic e poi riaccenderla a fine rappresentazione, ha decretato il compimento di questo processo. D'altronde a teatro si va per lo spettacolo, mica per il pubblico.
Siamo così abituati a questo costume, che in questo spettacolo “La caverna delle meraviglie” di Bronzino, si può far passare senza sospetto la sala, cioè il teatro, per una spelonca, una grotta. La caverna in questione è quella di Platone, del mito dei prigionieri rinchiusi nell'oscurità che si illudono di “vedere”, anche se ciò che gli è dato di scorgere, in quelle tenebre, non sono altro che proiezioni luminose. Questo testo di Paola Fresa è inserito nel “Progetto Repubblica di Platone“ che prenderà avvio il 26 novembre alla Casa del Teatro Ragazzi e Giovani. È una trovata ingegnosa per sperimentare un eterno interrogativo di un Classico con chi non se l'è posto. Il problema che pone riguarda la visione - che cosa sappiamo di ciò che vediamo?. È un domanda che si lega alla conoscenza, ai luoghi dove trovarla. Che cosa sappiamo di ciò che conosciamo? Quali sono le conoscenze giuste? Dove possiamo reperirle?
L'infotainment e le fake news ci hanno buttato davanti un paradosso. Anche se la conoscenza viaggia tramite smartphone e internet, possiamo conoscere solo con i nostri occhi, aperti, nel mondo. Ma non è questo, come nel mito di Platone, proprio fuori dalla caverna, dal teatro? Le nostre caverne non sono come quelle di Polifemo, di Platone o di Merlino. Non sono luoghi di apparizioni mostruose, ma sono sotto i nostri occhi. Abbiamo fotografie della maggior parte delle caverne di questo pianeta. Non c'è quasi più nulla di oscuro. Eppure entriamo e usciamo di caverne in continuazione: le nostre – le altre caverne – sono piene di illusioni, riflessi e fantasmagorie, conoscenze incomplete, e ne abbiamo quante ne vogliamo. Appena rivolgiamo lo sguardo su una vetrina, su un monitor, tutto ci sembra illusione, manipolazione, conoscenza indiretta. E poi ci sono i videogiochi, gli universi paralleli, metaverso, multiverso. Non è vero che non ne sappiamo abbastanza di multiverso, come dice una frase proverbiale dell'ultimo Spiderman. Ne sappiamo abbastanza per esprimere questo disappunto fondato, che il teatro non deve essere caverna: portate i bambini a teatro.
FABRIZIO ARTERO