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Avete presente quel momento in cui un romanzo vi tiene in pugno? A lungo, per me, è stato un fatto di luglio, di agosto. Ancora oggi si porta dietro una sensazione estiva. Con questa ritorno alla stagione di letture così appassionate da chiedermi ritmi incompatibili con la vacanza; di sicuro quella in hotel. Avrei rinunciato al buffet della colazione imbandito, a fare il bagno in una piscina tutta per me; persino ad una morbida doccia prima di cena, per togliere il sale. Ho scoperto il Romanzo sulla soglia dell’adolescenza. Il professore di Italiano ci aveva assegnato, "Io non ho paura", di Ammaniti, per il ritorno dalle vacanze, alla fine della prima media. L’ho letto in Costa Azzura in ferie con i miei. Non sono riuscito a staccarmene tanto che - come per molte altre “prime volte” - alla fine, mi sono quasi vergognato. Dopo un giorno intero di full immersion, ho deciso che dovevo dare una botta finale alla lettura. Come si dà un taglio a un guilty pleasure.
Mi sono ritrovato in quell’imbarazzo con “Spatriati”, Einaudi, di Mario Desiati. Un romanzo d’altri tempi, che un paio di settimana fa, al Ninfeo di Villa Giulia, a Roma, ha ricevuto il Premio Strega. Ha superato gli altri finalisti Claudio Piersanti, "Quel maledetto Vronskij", Marco Amerighi, "Randagi", Veronica Raimo, "Niente di vero", Fabio Bacà, "Nova" Alessandra Carati, "E poi saremo salvi".
Come "Io non ho paura", "Spatriati" mi ha tenuto in pugno. Me lo sono letto d'un fiato: come una serie Netflix, con i filtri alle telecamere e l’indie in sottofondo, che ti requisisce la voglia di mangiare o di uscire con gli amici: un'apnea da cui prendi fiato quando arrivano i titoli di coda.
Dentro “Spatriati” ci sono due giovani, pugliesi, compaesani dell’autore, ma “spatriati”, spaesati, disorientati, fuori posto, come ogni nuova leva. Desiati non trascura l’arguzia, l’arcaismo, il tecnicismo, grazie isola i ritratti di Claudia e Francesco dal divenire. Lei avventuriera, lui conservatore, li fa riflettere, viaggiare, conquistare consapevolezze fondamentali; ma la sensazione che mi non mi abbandona, finito il racconto, è che il narratore non si risolva mai a portare alla luce i conflitti della generazione di cui parla. Piuttosto li presenta, da fuori, dando un nome a quelll’“Altro” - la musica Techno, la cultura Transgender, la mobilità giovanile - e i motivi attorno a cui le nuove contraddizioni orbitano.
Per questo sono debitore di un contributo di Gianluigi Simonetti. Leggendo “Attraverso lo specchio”, uscito su “Le Parole e Le Cose”, sono riuscito a precisare il mio punto di vista. Nel suo pezzo Simonetti fa notare che se questo romanzo ha un pregio, è bandire la noia; ma si sofferma piuttosto sulla parata à la mode, da red carpet sanremese, che è andata in scena al Ninfeo in occasione dell’assegnazione del Premio Strega. Ha rilevato che “Lo Strega si trasforma e cresce, emigra dai salotti culturali, si mediatizza e sincronizza con la società non letteraria”. Questa opinione, per me che non ho partecipato alla kermesse, ha dato corda alla mia lettura. Se la società “non letteraria” considera la Cultura come un settore di investimenti, una sciccheria, una sera di gala, non possiamo chiedere al Romanzo - ma tantomeno alla produzione culturale di consumo: televisione, musica pop per intenderci - altro che l’adesione ad un dress code. Cioè: nelle società in cui il Progresso collettivo non è domandato agli intellettuali, ma a consumi e visibilità mediatica, la Cultura deve restare in disparte oppure partecipare alla mascherata destando il massimo dello scalpore che le è pre-scritto. Tanto per non annoiare appunto. Può finire sui giornali un romanzo, ad un tempo, strutturato e tridimensionale? Certamente, ma deve strizzare l’occhio ai consumi! Se il Romanzo cerca l'universale nel particolare, “Spatriati” ci insegna il particolare di oggi sono il vintage, il naif, e le feste dei fuori sede.
Fra un bagno e l’altro, deliziati, possiamo allora darci quattro ganasce alla tavola del Progresso.
FABRIZIO WALTER ARTERO