Una Yaris alle Fonderie
Il cinema e il teatro non hanno mai nascosto il fascino che nutrono per la locomozione . Il viaggio è più vecchio della tragedia: per ovvie ragioni di rappresentazioni risale ad Ulisse, piuttosto che ai Persiani. Il feticcio per i mezzi di locomozione è roba postfordiana. C’è una passione tutta novecentesca che unisce Herbie il Maggiolino tutto matto con Top Gun, Fast and Furious; la suggestione dei transatlantici: Partage du Midi, Titanic, Novecento. Il filone si può dire finalmente arricchito con l’Ifigenia di Valerio Binasco, che ha appena salutato le Fonderie Limone. La questione non è di secondo ordine sebbene passi in sordina in uno spettacolo in cui Binasco è riuscito a pinterizzare Euripide e il mito. La chiarezza del mito e delle ragioni per cui Agamennone sacrifica la figlia in cambio del favore dei venti è costruita ad opera d’arte. Vuoi perché Binasco ha cassato il coro tragico dalla rappresentazione, vuoi per lo studio sull’umanità dei caratteri – in costume anziché in maschera – questa Ifigenia ammicca al dramma psicologico piuttosto che alla tragedia. Come possiamo immaginare tuttavia che l’antefatto alla più epica guerra della storia sia deputato ad una vettura utilitaria? Il “signore del schiere” Agamennone immola la primogenita dietro una Yaris, bianca. C’è qualcosa di “orribile”: anziché il “Male assoluto” nazista, Agamennone e Menelao fanno la parte dei sicari di via Magliana; peggio forse: sono scugnizzi piuttosto che gerarchi militari. La metafisica del testo antico, la paura, è infangata da una qualcosa di mafioso che si consuma dietro un’auto per tutti. La macchina se ne esce, subito dopo in un silenzio omertoso, grazie ad una trovata che rende onore alla vecchia pratica di indicare il meraviglioso con moderni strumenti tecnologici. I nativi forse non avranno fatto caso all’alimentazione a corrente. Ma chi, cresciuto sui sedili posteriori di una Renault Quattro non prova assoluta meraviglia sotto il silenzio del motore Full Electric Toyota?
FABRIZIO WALTER ARTERO